martedì 24 maggio 2011

Scampoli di felicità



“Cosa prendete ragazzi?”
“Tre caffè”.
“Normali?”
“Normali.”

Il bar non è bello, forse è  perfino un po’ triste. Nascosto dai portici di un palazzone grigio, è gestito da un uomo dalla faccia simpatica. Non è di molte parole e i suoi gesti sono ridotti al minimo indispensabile. Niente confidenza, niente inutili convenevoli e niente superflue conversazioni, ma solo una granitica cortesia valida per ogni giorno dell’anno. I baristi cambiano di quando in quando, giungono e se ne vanno, anonimi come l’arredamento del bar. Senza lasciare una traccia, spariscono nel breve volgere di qualche mese, senza un apparente perché. Anche la clientela è anonima e un po’ triste, un improbabile miscuglio di genti che contribuisce a rendere simpatico il locale. Qualche avvocato delle cause perse che ha da tempo superato i quaranta, combattuto tra il bisogno di mettere insieme il pranzo con la cena e la speranza mal celata di essere un bello e dannato alla Mickey-Rourke-o-come-cazzo-si-scrive; qualche avvocatessa d’annata con look alla Jessica Rabbit (tette rigorosamente cadenti e bene in vista, rossetto marcato e tacco 15 ma meglio se 18) e la necessità di una lunghissima-quasi-interminabile sosta al bar per riempire la mattina; qualche giovane, praticante o neoavvocato, che consuma con frenesia una colazione leggendo la rosa nazionale in attesa di un futuro migliore; e cinque o sei agenti di polizia penitenziaria, sempre gli stessi, che fanno la spola tra il Tribunale e il bar, avidi di un aperitivo che cancelli l’insoddisfazione della mattinata.
E poi ci sono tre caffè, normali salvo eccezioni.
Parlano di sogni e di illusioni, di incertezze e di paure, di calcio e di politica, di lavoro e di cazzate. Parlano di vita e di vita si nutrono. Sono l’occasione per fermare il tempo, anche solo per un attimo.
La loro è una spensieratezza quasi ingenua, solo talvolta interrotta da momenti un po’ più difficili, in cui tutto sembra sfuggire di mano e non avere più senso.
In quei momenti, la familiarità di quei caffè diventa rifugio. Anche quando la mente vaga, ovattata, nel nulla dell’incertezza o nella rassegnazione di una fine, quei caffè resistono, caparbi. E si trasformano. Sono indispensabili come i ricordi, ma non fanno mai male.
Sono una certezza cui aggrapparsi, un abbraccio in cui trovare protezione. Sono la ragione di un sorriso.
Sono scampoli di felicità e io lo so.

4 commenti:

  1. Io la invidio un po' la vostra amicizia.
    Ecco, l'ho detto.

    :)

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  2. ma no Iaia!subito un caffè anche per te!normale?:-)
    come un semplice rito quotidiano può migliorarti la giornata...

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  3. Caro boh!, complimenti. Il prossimo caffè spero di potertelo offrire io. Ma chiama le attempate.

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  4. grazie zio! Avrai tutte le attempate che vuoi..

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