mercoledì 24 aprile 2013

Sogno di una notte d'estate.

Mi piace sempre di più questo piccolo spazio in cui ospito amici che ci raccontano l'ultimo spettacolo visto a teatro! E pensate che quegli amici si trovano, ormai, così a loro agio in questo spazio da invitare altri amici per fare la stessa cosa. 
Infatti, C.S. (ormai lo conoscete, dai) ha gentilmente chiesto a Paté d'Olive, come lei stessa specifica nella sua premessa, di recensire lo spettacolo che hanno visto insieme a teatro e così lei ha fatto!
Eccola.. 

"Iniziamo parandomi il culo. Perché così è tutto più facile. Avverto subito, io non scrivo. Scrivevo lettere ad amici. Scrivo sms. Qualche mail. Ma niente di lontanamente artistico, insomma. Per me anche scrivere i temi è sempre stata una tortura, per dire. No no no, bisogna saperlo fare. Anche perché se mi metto a scrivere lo faccio a mo’ di flow of consciousness (chiedo venia se spicciolo una delle due cose che mi ricordo di letteratura) e quando imbocco la superstrada dei pensieri poi puntualmente mi imbambolo e perdo l’uscita…vabé. Io lo faccio per sfida. Quel cagnaccio maledetto di C.S. me lo mena…e, tutto sommato, provare a prendermi un po’ meno sul serio e lanciarmi in un esercizio che non è il mio…ma si, dai. 


Ecco, mi sento già come i partecipanti a quei quiz che prima di rispondere alla cazzo di domanda del conduttore cominciano a motivare la risposta parlando di quella volta che la vicina di casa di sua cugina aveva detto……..ecco, sono già fuori. Visto che non è il mio?

Vabé, lo spettacolo. 

Sogno di una notte d’estate. 


Il titolo cambia rispetto all’originale di Shakespeare, magari per sottolineare il fatto che loro le cose le maneggiano sempre un pò, regia di Emanuele Conte, attori della compagnia del Teatro della Tosse. 

Purtroppo non sono una gran frequentatrice di teatri, ragione in più per evitare di scriverci su, ma qualche spettacolo della Tosse l’ho visto, grazie alla mia mamma. La prima volta mi aveva portato a vedere la rappresentazione delle favole, titolo esatto boh, che avevano portato direi una ventina d’anni fa al forte Sperone. Che bello…mi son sempre piaciuti i loro spettacoli, davvero ci mettono sempre qualcosa di loro. E si mettono nei panni di chi li guarda, quando se li studiano. È evidente. Cercano di portarteli, di imboccarteli, ed arrivare anche a chi, come me, magari si distrae un po’ troppo facilmente davanti ad una rappresentazione poco accattivante.


E poi c’è anche Campanati sul palco, un mostro di attore. Che conosco da quando sono piccolina, perché per esempio quando avevo visto proprio Sogno di una notte di mezz’estate, direi….quindici anni fa? La sparo senza controllare che va bene così, allo Sperone ( e lì sarà davvero stato un sogno di mezz’estate e non un sogno di manco accennata primavera, che manco per iscritto rinuncio alla mia passione per le battute bruttissime) lui c’era, anche se allora vestiva i panni di Puck e se non ricordo male accompagnava gli spettatori attraverso le stanze del castello per tutto il corso della rappresentazione. 

Questa volta Campanati era Oberon. …ma dovrò spiegare la trama? Cercherò di esser sintetica…Oberon, re degli elfi, e il suo fidato folletto Puck si mettono a giocare con un fiore, dal quale si ottiene un succo che versato sugli occhi di una persona addormentata la farà innamorare, al suo risveglio, della prima che incontra. Persona o bestia che sia. E in questo loro gioco non viene coinvolta solo la consorte di Oberon, Titania, ma anche una compagnia teatrale e due coppie di giovani che attraversano il bosco di Oberon per recarsi al matrimonio di Teseo e Ippolita, al quale i ragazzi parteciperanno in qualità di ospiti, mentre gli attori metteranno in scena la tragedia di Piramo e Tisbe a fine cerimonia. Come si può immaginare il potere del fiore porterà scompiglio e improbabili intrecci. 
Non scendo nei particolari perché io personalmente odio quando mi si racconta un film che non ho visto. Se ne so già troppo mi si toglie gran parte del piacere di vederlo e scoprirlo e vederci quel che voglio io. 

Intanto se nella prima versione che avevo visto, trattandosi di spettacolo itinerante, la scenografia cambiava perché ogni scena era rappresentata in un angolo diverso del forte, questa volta non si assiste a nessun cambio di sfondo: la scenografia è ridotta ai minimi termini ma proprio per questo risulta molto evocativa, tutto rimane in mano all’omino che cura le luci, che in particolare sul finale ti regala delle bellissime immagini, oserei sparare oniriche, con la luce che si limita ad illuminare le creste dei capelli scapigliati dei folletti ma non i loro volti. E sono gli attori che ti portano da una parte all’altra della storia pur rimanendo sempre lì, attorno a quel cerchio di terra piazzato in mezzo al palco, a rappresentare una radura nel bosco. 

Il linguaggio è quello di un’opera shakespeariana, spesso in rima, ma ogni tanto rotto da una battuta, che shakespeariana non è, o da un’uscita un po’ più colorata che strizza l’occhio allo spettatore che su questo stile magari fatica. E funziona, perché ti aiuta effettivamente a seguire, e diverte; loro a far questo son sempre molto bravi. Ed è un crescendo; se all’inizio l’austerità della scena preannuncia una rappresentazione seria e rigorosa, pian piano i toni si abbassano e lo spettatore si riscalda. E chi come me ha una risata anche sguaiata si fa sentire.

Risolte le varie magagne provocate dal fiore, gli sposi celebrano in fretta e furia ed arriva il momento della rappresentazione teatrale, e lo spettacolo va in scena davvero. Scenette terribili e mal recitate per sposi e ospiti quanto divertenti per lo spettatore della Tosse, che viene messo nella condizione di poter palpare davvero la volontà dell’autore di far teatro nel teatro, grazie all’accorgimento di far recitare la sgangherata compagnia teatrale rivolta verso gli sposi. Apprezzata anche l’idea di avvicinare ulteriormente la storia di Piramo e Tisbe a quella di Romeo e Giulietta, alla quale quest’ultima effettivamente si è ispirata, calcandone esattamente il finale. In questo modo gli autori hanno fatto arrivare il rimando anche a chi, come me, era sprovvisto e sprovveduto.

Sono uscita divertita, e soddisfatta perché avevo visto qualcosa di bello."

Paté d'Olive

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